La guida di Giammarco

Giammarco
La guida di Giammarco

Visite turistiche

La Cattedrale di Palermo costituisce quasi un compendio perfetto della millenaria storia della città. Prima basilica paleocristiana; poi moschea, nell’ambito della lunga dominazione araba; infine nuovamente chiesa con i Normanni. Quanto allo stile, Ferdinando Fuga, architetto alla corte di Carlo di Borbone nella seconda metà del ‘700, impose all’edificio una decisa virata neo-classica ridimensionando di molto le precedenti impronte arabo-normanne, gotiche e barocche. Non tutto però è andato perduto. Tracce dei precedenti stili sono evidenti nell’abside maggiore (arabo-normanno), nel portale principale d’ingresso (gotico) e, ancora, nella cupola (barocco). Una miscellanea di stili che non lascia indifferenti, e a cui vanno ad aggiungersi le tombe reali, tra cui il sarcofago di Federico II e, soprattutto, la tomba di Santa Rosalia, patrona della città.
746 ντόπιοι το προτείνουν
Καθεδρικός Ναός της Παλέρμο
490 Via Vittorio Emanuele
746 ντόπιοι το προτείνουν
La Cattedrale di Palermo costituisce quasi un compendio perfetto della millenaria storia della città. Prima basilica paleocristiana; poi moschea, nell’ambito della lunga dominazione araba; infine nuovamente chiesa con i Normanni. Quanto allo stile, Ferdinando Fuga, architetto alla corte di Carlo di Borbone nella seconda metà del ‘700, impose all’edificio una decisa virata neo-classica ridimensionando di molto le precedenti impronte arabo-normanne, gotiche e barocche. Non tutto però è andato perduto. Tracce dei precedenti stili sono evidenti nell’abside maggiore (arabo-normanno), nel portale principale d’ingresso (gotico) e, ancora, nella cupola (barocco). Una miscellanea di stili che non lascia indifferenti, e a cui vanno ad aggiungersi le tombe reali, tra cui il sarcofago di Federico II e, soprattutto, la tomba di Santa Rosalia, patrona della città.
Costruita nel 1143 dall’ammiraglio Giorgio d’Antiochia, fedele servitore del re normanno Ruggero II, la chiesa della Martorana è una delle più affascinanti chiese bizantine in Italia. C’è chi sostiene la più bella in assoluto, anche per via del contrasto tra lo stile arabo-normanno, motivo per cui è inserita nei beni tutelati dall’Unesco, e le successive aggiunte barocche del ‘600. Nel 1433 Alfonso d’Aragona cedette la chiesa al vicino monastero benedettino fondato dalla nobildonna Eloisa Martorana. Da qui il nome della chiesa, riferimento spirituale della numerosa colonia italo-albanese riparata in Sicilia tra XIII e XIV secolo per sfuggire alla pirateria turca. La chiesa fa parte dei beni dell’Eparchia di Piana degli Albanesi e pur essendo soggetta alla Santa Sede segue il calendario liturgico ortodosso. Le decorazioni musive all’interno sono il punto forte dell’edificio. Su tutte, il “Cristo pantocratore” sulla sommità della cupola. Una raffigurazione tipica dell’arte bizantina, con il Cristo benedicente circondato da quattro angeli prostrati in adorazione ai suoi piedi. La Chiesa della Martorana è visitabile tutti i giorni, al di fuori delle funzioni sacre. Il biglietto intero costa 2,00 €uro (ridotto 1,00 per gruppi di almeno 5 persone, over 65 anni e studenti, mostrando un biglietto del Circuito di Arte Sacra).
342 ντόπιοι το προτείνουν
Santa Maria dell'Ammiraglio (La Martorana)
3 Piazza Bellini
342 ντόπιοι το προτείνουν
Costruita nel 1143 dall’ammiraglio Giorgio d’Antiochia, fedele servitore del re normanno Ruggero II, la chiesa della Martorana è una delle più affascinanti chiese bizantine in Italia. C’è chi sostiene la più bella in assoluto, anche per via del contrasto tra lo stile arabo-normanno, motivo per cui è inserita nei beni tutelati dall’Unesco, e le successive aggiunte barocche del ‘600. Nel 1433 Alfonso d’Aragona cedette la chiesa al vicino monastero benedettino fondato dalla nobildonna Eloisa Martorana. Da qui il nome della chiesa, riferimento spirituale della numerosa colonia italo-albanese riparata in Sicilia tra XIII e XIV secolo per sfuggire alla pirateria turca. La chiesa fa parte dei beni dell’Eparchia di Piana degli Albanesi e pur essendo soggetta alla Santa Sede segue il calendario liturgico ortodosso. Le decorazioni musive all’interno sono il punto forte dell’edificio. Su tutte, il “Cristo pantocratore” sulla sommità della cupola. Una raffigurazione tipica dell’arte bizantina, con il Cristo benedicente circondato da quattro angeli prostrati in adorazione ai suoi piedi. La Chiesa della Martorana è visitabile tutti i giorni, al di fuori delle funzioni sacre. Il biglietto intero costa 2,00 €uro (ridotto 1,00 per gruppi di almeno 5 persone, over 65 anni e studenti, mostrando un biglietto del Circuito di Arte Sacra).
Palazzo dei Normanni è tante cose. È la più antica residenza reale d’Europa; è la sede dell’Assemblea Regionale Siciliana; è uno dei monumenti più visitati dell’isola; è, infine, il palazzo dove si trova la meravigliosa Cappella Palatina. Quest’ultima, intitolata a San Pietro apostolo, fu costruita nel 1130 per volere di Ruggero II di Sicilia. Si tratta di una basilica a tre navate celebre per i mosaici bizantini che la affrescano. Il più grande e famoso di tutti è il “Cristo pantocratore”, motivo decorativo presente anche nella chiesa della Martorana. Molto bello pure il soffitto in legno recante incisioni e intagli che rimandano alla lunga dominazione araba della città. Non a caso, la Cappella Palatina, insieme alle cattedrale cittadina, e alle altre due di Cefalù e Monreale, da luglio 2015 è sotto tutela dell’Unesco. Due gli ingressi per il Palazzo dei Normanni. Il principale, riservato alle pubbliche autorità, è in Piazza del Parlamento; quello turistico, invece, è su Piazza Indipendenza.
494 ντόπιοι το προτείνουν
Νορμανδικό Παλάτι
1 Piazza del Parlamento
494 ντόπιοι το προτείνουν
Palazzo dei Normanni è tante cose. È la più antica residenza reale d’Europa; è la sede dell’Assemblea Regionale Siciliana; è uno dei monumenti più visitati dell’isola; è, infine, il palazzo dove si trova la meravigliosa Cappella Palatina. Quest’ultima, intitolata a San Pietro apostolo, fu costruita nel 1130 per volere di Ruggero II di Sicilia. Si tratta di una basilica a tre navate celebre per i mosaici bizantini che la affrescano. Il più grande e famoso di tutti è il “Cristo pantocratore”, motivo decorativo presente anche nella chiesa della Martorana. Molto bello pure il soffitto in legno recante incisioni e intagli che rimandano alla lunga dominazione araba della città. Non a caso, la Cappella Palatina, insieme alle cattedrale cittadina, e alle altre due di Cefalù e Monreale, da luglio 2015 è sotto tutela dell’Unesco. Due gli ingressi per il Palazzo dei Normanni. Il principale, riservato alle pubbliche autorità, è in Piazza del Parlamento; quello turistico, invece, è su Piazza Indipendenza.
La Cappella Palatina è una basilica a tre navate che si trova all'interno del complesso architettonico di Palazzo dei Normanni a Palermo. La chiesa è dedicata a san Pietro apostolo
359 ντόπιοι το προτείνουν
Καπέλα Παλατίνα
1 Piazza del Parlamento
359 ντόπιοι το προτείνουν
La Cappella Palatina è una basilica a tre navate che si trova all'interno del complesso architettonico di Palazzo dei Normanni a Palermo. La chiesa è dedicata a san Pietro apostolo
Visitare la Kalsa (dall’arabo al-Khalisa) significa visitare quello che per secoli è stato il luogo privilegiato della politica, della finanza e della cultura di Palermo. Naturalmente riuscire a vedere tutto è difficile, a meno che un Cicerone locale non vi porti alla scoperta di questo rione storico (uno dei quattro in cui è suddiviso il centro cittadino). Da vedere, infatti, c’è veramente tanto, comprese le contraddizioni di cui abbiamo parlato all’inizio, spia, almeno da un punto di vista urbanistico, di un conflitto tra il presente e la memoria del passato. Palazzo Mirto, Palazzo Abatellis e l’Oratorio dei Bianchi sono i luoghi dove il passato glorioso della Kalsa – e di Palermo – viene custodito gelosamente. Il primo (Palazzo Mirto) è stato per quattro secoli la dimora della famiglia normanna più antica di Sicilia, i Filangieri Conti di San Marco, poi Principi di Mirto. Palazzo Abatellis, invece, è uno spazio museale con numerose collezioni medievali, moderne e archeologiche accumulate perlopiù durante il XIX secolo grazie a lasciti privati e alla soppressione delle corporazioni religiose. Infine, l’Oratorio dei Bianchi, sede della Nobile, Primaria e Real Compagnia del Ss.Crocifisso, dove, tra l’altro, è possibile ammirare la porta lignea “Bab el Fotik”, rinominata “Porta della Vittoria” dai Normanni che posero fine alla lunga dominazione araba in città.
259 ντόπιοι το προτείνουν
Palazzo Abatellis
4 Via Alloro
259 ντόπιοι το προτείνουν
Visitare la Kalsa (dall’arabo al-Khalisa) significa visitare quello che per secoli è stato il luogo privilegiato della politica, della finanza e della cultura di Palermo. Naturalmente riuscire a vedere tutto è difficile, a meno che un Cicerone locale non vi porti alla scoperta di questo rione storico (uno dei quattro in cui è suddiviso il centro cittadino). Da vedere, infatti, c’è veramente tanto, comprese le contraddizioni di cui abbiamo parlato all’inizio, spia, almeno da un punto di vista urbanistico, di un conflitto tra il presente e la memoria del passato. Palazzo Mirto, Palazzo Abatellis e l’Oratorio dei Bianchi sono i luoghi dove il passato glorioso della Kalsa – e di Palermo – viene custodito gelosamente. Il primo (Palazzo Mirto) è stato per quattro secoli la dimora della famiglia normanna più antica di Sicilia, i Filangieri Conti di San Marco, poi Principi di Mirto. Palazzo Abatellis, invece, è uno spazio museale con numerose collezioni medievali, moderne e archeologiche accumulate perlopiù durante il XIX secolo grazie a lasciti privati e alla soppressione delle corporazioni religiose. Infine, l’Oratorio dei Bianchi, sede della Nobile, Primaria e Real Compagnia del Ss.Crocifisso, dove, tra l’altro, è possibile ammirare la porta lignea “Bab el Fotik”, rinominata “Porta della Vittoria” dai Normanni che posero fine alla lunga dominazione araba in città.
Visitare la Kalsa (dall’arabo al-Khalisa) significa visitare quello che per secoli è stato il luogo privilegiato della politica, della finanza e della cultura di Palermo. Naturalmente riuscire a vedere tutto è difficile, a meno che un Cicerone locale non vi porti alla scoperta di questo rione storico (uno dei quattro in cui è suddiviso il centro cittadino). Da vedere, infatti, c’è veramente tanto, comprese le contraddizioni di cui abbiamo parlato all’inizio, spia, almeno da un punto di vista urbanistico, di un conflitto tra il presente e la memoria del passato. Palazzo Mirto, Palazzo Abatellis e l’Oratorio dei Bianchi sono i luoghi dove il passato glorioso della Kalsa – e di Palermo – viene custodito gelosamente. Il primo (Palazzo Mirto) è stato per quattro secoli la dimora della famiglia normanna più antica di Sicilia, i Filangieri Conti di San Marco, poi Principi di Mirto. Palazzo Abatellis, invece, è uno spazio museale con numerose collezioni medievali, moderne e archeologiche accumulate perlopiù durante il XIX secolo grazie a lasciti privati e alla soppressione delle corporazioni religiose. Infine, l’Oratorio dei Bianchi, sede della Nobile, Primaria e Real Compagnia del Ss.Crocifisso, dove, tra l’altro, è possibile ammirare la porta lignea “Bab el Fotik”, rinominata “Porta della Vittoria” dai Normanni che posero fine alla lunga dominazione araba in città.
96 ντόπιοι το προτείνουν
Μουσείο Παλάτσο Μίρτο Σπίτι Μουσείο
2 Via Merlo
96 ντόπιοι το προτείνουν
Visitare la Kalsa (dall’arabo al-Khalisa) significa visitare quello che per secoli è stato il luogo privilegiato della politica, della finanza e della cultura di Palermo. Naturalmente riuscire a vedere tutto è difficile, a meno che un Cicerone locale non vi porti alla scoperta di questo rione storico (uno dei quattro in cui è suddiviso il centro cittadino). Da vedere, infatti, c’è veramente tanto, comprese le contraddizioni di cui abbiamo parlato all’inizio, spia, almeno da un punto di vista urbanistico, di un conflitto tra il presente e la memoria del passato. Palazzo Mirto, Palazzo Abatellis e l’Oratorio dei Bianchi sono i luoghi dove il passato glorioso della Kalsa – e di Palermo – viene custodito gelosamente. Il primo (Palazzo Mirto) è stato per quattro secoli la dimora della famiglia normanna più antica di Sicilia, i Filangieri Conti di San Marco, poi Principi di Mirto. Palazzo Abatellis, invece, è uno spazio museale con numerose collezioni medievali, moderne e archeologiche accumulate perlopiù durante il XIX secolo grazie a lasciti privati e alla soppressione delle corporazioni religiose. Infine, l’Oratorio dei Bianchi, sede della Nobile, Primaria e Real Compagnia del Ss.Crocifisso, dove, tra l’altro, è possibile ammirare la porta lignea “Bab el Fotik”, rinominata “Porta della Vittoria” dai Normanni che posero fine alla lunga dominazione araba in città.
Al centro dell’omonima piazza, di fronte il palazzo comunale, c’è la “Fontana Pretoria” o, come la chiamano i palermitani, la “Fontana della Vergogna” per via della nudità delle statue tutte attorno (altri sostengono che il riferimento sia invece alla corruzione delle classi dirigenti locali del XVIII e XIX secolo). Samo sempre nella Kalsa, da un punto di vista storico-culturale, probabilmente il più importante dei 4 rioni in cui è suddiviso il centro storico cittadino. La storia della Fontana Pretoria è piuttosto singolare, dal momento che era destinata ad abbellire un giardino di Firenze, per la precisione il giardino di Don Luigi di Toledo che aveva commissionato all’architetto Francesco Camillani la realizzazione dell’opera. Opera terminata nel 1554 e però, nel 1573 venduta al Senato di Palermo – si dice – per far fronte ai debiti accumulati dalla nobile famiglia spagnola. Il trasporto da Firenze a Palermo fu abbastanza complicato. Alcuni pezzi rimasero a Firenze; altri si danneggiarono lungo il tragitto. A occuparsi della reinstallazione della fontana (per farvi spazio fu decretato l’abbattimento di alcune abitazioni) Camillo Camillani, figlio dell’artista fiorentino che l’aveva progettata per primo. Per quanto riguarda la struttura, la fontana poggia su un base ovale, circondata da una balaustra che contiene le altre vasche: tre posizionate in modo concentrico una sull’altra, seguite da un’altra serie di dimensioni più piccole. Quanto alle statue, rappresentano divinità e figure mitologiche (Ercole, Venere, Apollo, Bacco, Diana, Adone ecc.). A cavallo tra gli anni ’90 e i ’00 una lunga e complessa fase di restauro ha restituito splendore alla Fontana Pretoria, garantendo nuovamente, dopo anni, la circolazione dell'acqua
99 ντόπιοι το προτείνουν
Φοντάνα Πρετόρια
Piazza Pretoria
99 ντόπιοι το προτείνουν
Al centro dell’omonima piazza, di fronte il palazzo comunale, c’è la “Fontana Pretoria” o, come la chiamano i palermitani, la “Fontana della Vergogna” per via della nudità delle statue tutte attorno (altri sostengono che il riferimento sia invece alla corruzione delle classi dirigenti locali del XVIII e XIX secolo). Samo sempre nella Kalsa, da un punto di vista storico-culturale, probabilmente il più importante dei 4 rioni in cui è suddiviso il centro storico cittadino. La storia della Fontana Pretoria è piuttosto singolare, dal momento che era destinata ad abbellire un giardino di Firenze, per la precisione il giardino di Don Luigi di Toledo che aveva commissionato all’architetto Francesco Camillani la realizzazione dell’opera. Opera terminata nel 1554 e però, nel 1573 venduta al Senato di Palermo – si dice – per far fronte ai debiti accumulati dalla nobile famiglia spagnola. Il trasporto da Firenze a Palermo fu abbastanza complicato. Alcuni pezzi rimasero a Firenze; altri si danneggiarono lungo il tragitto. A occuparsi della reinstallazione della fontana (per farvi spazio fu decretato l’abbattimento di alcune abitazioni) Camillo Camillani, figlio dell’artista fiorentino che l’aveva progettata per primo. Per quanto riguarda la struttura, la fontana poggia su un base ovale, circondata da una balaustra che contiene le altre vasche: tre posizionate in modo concentrico una sull’altra, seguite da un’altra serie di dimensioni più piccole. Quanto alle statue, rappresentano divinità e figure mitologiche (Ercole, Venere, Apollo, Bacco, Diana, Adone ecc.). A cavallo tra gli anni ’90 e i ’00 una lunga e complessa fase di restauro ha restituito splendore alla Fontana Pretoria, garantendo nuovamente, dopo anni, la circolazione dell'acqua
Il palazzo della Zisa (dall’arabo al-Azīz, “il glorioso”, “lo splendido”), fondato dal re Guglielmo I nel 1165 e portato a compimento dal successore Guglielmo II (1190 ca.), costituisce un sorprendente esempio di architettura palaziale ifriqena. Sorgeva fuori le mura dell’antica città di Palermo, costituendo il monumento più importante e rappresentativo del Genoardo (dall’arabo jannat al-ar, “giardino” o “paradiso della terra”) che, ispirandosi ai giardini di ascendenza islamica, caratterizzava il territorio immediatamente fuori della Palermo normanna. L’edificio, a pianta rettangolare con due avancorpi turriti sporgenti sui lati brevi, si sviluppa su tre livelli, marcati all’esterno da sottili cornici e da archi ciechi a rincasso che inquadrano le finestre (oggi rettangolari, originariamente bifore sovrastate da monofore circolari). L’edificio è concluso in alto da una fascia con epigrafe in arabo, oggi frammentaria a causa dei tagli realizzati in epoca moderna per ottenere la merlatura. Al centro del piano terreno si trova l’ambiente di rappresentanza o «sala della fontana», sala a iwan di tipo islamico che costituisce il cuore nevralgico di tutto il palazzo, aperta sul vestibolo attraverso un ampio arco ogivale sorretto da colonne binate, ai lati del quale sono i resti dell’epigrafe in stucco con il nome del palazzo e il riferimento a Guglielmo II. Tutta la sala è decorata con mosaici decorativi e tarsie marmoree in opus sectile che incorniciano le lastre di cipollino sulle pareti e arricchiscono il pavimento. Sul lato occidentale si trova un pannello musivo: si tratta di un raro esempio di mosaico bizantino con temi profani e iconografie islamiche. Al di sotto del mosaico si trova una nicchia rientrante da cui un tempo sgorgava l’acqua della fontana, che scivolando lungo una lastra marmorea a chevron (sadirwan), si riversava in una canaletta aperta sul pavimento, intervallata da due piccole vasche quadrate e marcata da bande in opus sectile. Al lati della sala a iwan, si trovano gli ambienti residenziali e le scale che conducono ai piani superiori. In molti ambienti sono frequenti le nicchie a muqarnas. La sala centrale del secondo piano è stata profondamente modificata nel secolo XVII: in origine presentava un atrio quadrato scoperto con al centro un impluvium, di cui si conservano ancora le tracce. All’interno della Zisa, oggi Museo d’Arte Islamica, sono custoditi ed esposti diversi manufatti, tra cui uno di straordinaria importanza: una lapide marmorea di forma esagonale con una croce centrale in opus sectile intorno alla quale è ripetuta un’iscrizione in tre diverse lingue (latina, greca, araba) e con quattro differenti caratteri (l’arabo anche in carattere ebraico), eseguita per il sepolcro di Anna (morta nel 1149), madre di Grisanto, prelato di corte, che costituisce una significativa testimonianza del sincretismo culturale che caratterizzò la civiltà della Sicilia normanna.
212 ντόπιοι το προτείνουν
Κάστρο της Ζίζα
Piazza Zisa
212 ντόπιοι το προτείνουν
Il palazzo della Zisa (dall’arabo al-Azīz, “il glorioso”, “lo splendido”), fondato dal re Guglielmo I nel 1165 e portato a compimento dal successore Guglielmo II (1190 ca.), costituisce un sorprendente esempio di architettura palaziale ifriqena. Sorgeva fuori le mura dell’antica città di Palermo, costituendo il monumento più importante e rappresentativo del Genoardo (dall’arabo jannat al-ar, “giardino” o “paradiso della terra”) che, ispirandosi ai giardini di ascendenza islamica, caratterizzava il territorio immediatamente fuori della Palermo normanna. L’edificio, a pianta rettangolare con due avancorpi turriti sporgenti sui lati brevi, si sviluppa su tre livelli, marcati all’esterno da sottili cornici e da archi ciechi a rincasso che inquadrano le finestre (oggi rettangolari, originariamente bifore sovrastate da monofore circolari). L’edificio è concluso in alto da una fascia con epigrafe in arabo, oggi frammentaria a causa dei tagli realizzati in epoca moderna per ottenere la merlatura. Al centro del piano terreno si trova l’ambiente di rappresentanza o «sala della fontana», sala a iwan di tipo islamico che costituisce il cuore nevralgico di tutto il palazzo, aperta sul vestibolo attraverso un ampio arco ogivale sorretto da colonne binate, ai lati del quale sono i resti dell’epigrafe in stucco con il nome del palazzo e il riferimento a Guglielmo II. Tutta la sala è decorata con mosaici decorativi e tarsie marmoree in opus sectile che incorniciano le lastre di cipollino sulle pareti e arricchiscono il pavimento. Sul lato occidentale si trova un pannello musivo: si tratta di un raro esempio di mosaico bizantino con temi profani e iconografie islamiche. Al di sotto del mosaico si trova una nicchia rientrante da cui un tempo sgorgava l’acqua della fontana, che scivolando lungo una lastra marmorea a chevron (sadirwan), si riversava in una canaletta aperta sul pavimento, intervallata da due piccole vasche quadrate e marcata da bande in opus sectile. Al lati della sala a iwan, si trovano gli ambienti residenziali e le scale che conducono ai piani superiori. In molti ambienti sono frequenti le nicchie a muqarnas. La sala centrale del secondo piano è stata profondamente modificata nel secolo XVII: in origine presentava un atrio quadrato scoperto con al centro un impluvium, di cui si conservano ancora le tracce. All’interno della Zisa, oggi Museo d’Arte Islamica, sono custoditi ed esposti diversi manufatti, tra cui uno di straordinaria importanza: una lapide marmorea di forma esagonale con una croce centrale in opus sectile intorno alla quale è ripetuta un’iscrizione in tre diverse lingue (latina, greca, araba) e con quattro differenti caratteri (l’arabo anche in carattere ebraico), eseguita per il sepolcro di Anna (morta nel 1149), madre di Grisanto, prelato di corte, che costituisce una significativa testimonianza del sincretismo culturale che caratterizzò la civiltà della Sicilia normanna.
Il palazzo della Zisa (dall’arabo al-Azīz, “il glorioso”, “lo splendido”), fondato dal re Guglielmo I nel 1165 e portato a compimento dal successore Guglielmo II (1190 ca.), costituisce un sorprendente esempio di architettura palaziale ifriqena. Sorgeva fuori le mura dell’antica città di Palermo, costituendo il monumento più importante e rappresentativo del Genoardo (dall’arabo jannat al-ar, “giardino” o “paradiso della terra”) che, ispirandosi ai giardini di ascendenza islamica, caratterizzava il territorio immediatamente fuori della Palermo normanna. L’edificio, a pianta rettangolare con due avancorpi turriti sporgenti sui lati brevi, si sviluppa su tre livelli, marcati all’esterno da sottili cornici e da archi ciechi a rincasso che inquadrano le finestre (oggi rettangolari, originariamente bifore sovrastate da monofore circolari). L’edificio è concluso in alto da una fascia con epigrafe in arabo, oggi frammentaria a causa dei tagli realizzati in epoca moderna per ottenere la merlatura. Al centro del piano terreno si trova l’ambiente di rappresentanza o «sala della fontana», sala a iwan di tipo islamico che costituisce il cuore nevralgico di tutto il palazzo, aperta sul vestibolo attraverso un ampio arco ogivale sorretto da colonne binate, ai lati del quale sono i resti dell’epigrafe in stucco con il nome del palazzo e il riferimento a Guglielmo II. Tutta la sala è decorata con mosaici decorativi e tarsie marmoree in opus sectile che incorniciano le lastre di cipollino sulle pareti e arricchiscono il pavimento. Sul lato occidentale si trova un pannello musivo: si tratta di un raro esempio di mosaico bizantino con temi profani e iconografie islamiche. Al di sotto del mosaico si trova una nicchia rientrante da cui un tempo sgorgava l’acqua della fontana, che scivolando lungo una lastra marmorea a chevron (sadirwan), si riversava in una canaletta aperta sul pavimento, intervallata da due piccole vasche quadrate e marcata da bande in opus sectile. Al lati della sala a iwan, si trovano gli ambienti residenziali e le scale che conducono ai piani superiori. In molti ambienti sono frequenti le nicchie a muqarnas. La sala centrale del secondo piano è stata profondamente modificata nel secolo XVII: in origine presentava un atrio quadrato scoperto con al centro un impluvium, di cui si conservano ancora le tracce. All’interno della Zisa, oggi Museo d’Arte Islamica, sono custoditi ed esposti diversi manufatti, tra cui uno di straordinaria importanza: una lapide marmorea di forma esagonale con una croce centrale in opus sectile intorno alla quale è ripetuta un’iscrizione in tre diverse lingue (latina, greca, araba) e con quattro differenti caratteri (l’arabo anche in carattere ebraico), eseguita per il sepolcro di Anna (morta nel 1149), madre di Grisanto, prelato di corte, che costituisce una significativa testimonianza del sincretismo culturale che caratterizzò la civiltà della Sicilia normanna.
212 ντόπιοι το προτείνουν
Κάστρο της Ζίζα
Piazza Zisa
212 ντόπιοι το προτείνουν
Il palazzo della Zisa (dall’arabo al-Azīz, “il glorioso”, “lo splendido”), fondato dal re Guglielmo I nel 1165 e portato a compimento dal successore Guglielmo II (1190 ca.), costituisce un sorprendente esempio di architettura palaziale ifriqena. Sorgeva fuori le mura dell’antica città di Palermo, costituendo il monumento più importante e rappresentativo del Genoardo (dall’arabo jannat al-ar, “giardino” o “paradiso della terra”) che, ispirandosi ai giardini di ascendenza islamica, caratterizzava il territorio immediatamente fuori della Palermo normanna. L’edificio, a pianta rettangolare con due avancorpi turriti sporgenti sui lati brevi, si sviluppa su tre livelli, marcati all’esterno da sottili cornici e da archi ciechi a rincasso che inquadrano le finestre (oggi rettangolari, originariamente bifore sovrastate da monofore circolari). L’edificio è concluso in alto da una fascia con epigrafe in arabo, oggi frammentaria a causa dei tagli realizzati in epoca moderna per ottenere la merlatura. Al centro del piano terreno si trova l’ambiente di rappresentanza o «sala della fontana», sala a iwan di tipo islamico che costituisce il cuore nevralgico di tutto il palazzo, aperta sul vestibolo attraverso un ampio arco ogivale sorretto da colonne binate, ai lati del quale sono i resti dell’epigrafe in stucco con il nome del palazzo e il riferimento a Guglielmo II. Tutta la sala è decorata con mosaici decorativi e tarsie marmoree in opus sectile che incorniciano le lastre di cipollino sulle pareti e arricchiscono il pavimento. Sul lato occidentale si trova un pannello musivo: si tratta di un raro esempio di mosaico bizantino con temi profani e iconografie islamiche. Al di sotto del mosaico si trova una nicchia rientrante da cui un tempo sgorgava l’acqua della fontana, che scivolando lungo una lastra marmorea a chevron (sadirwan), si riversava in una canaletta aperta sul pavimento, intervallata da due piccole vasche quadrate e marcata da bande in opus sectile. Al lati della sala a iwan, si trovano gli ambienti residenziali e le scale che conducono ai piani superiori. In molti ambienti sono frequenti le nicchie a muqarnas. La sala centrale del secondo piano è stata profondamente modificata nel secolo XVII: in origine presentava un atrio quadrato scoperto con al centro un impluvium, di cui si conservano ancora le tracce. All’interno della Zisa, oggi Museo d’Arte Islamica, sono custoditi ed esposti diversi manufatti, tra cui uno di straordinaria importanza: una lapide marmorea di forma esagonale con una croce centrale in opus sectile intorno alla quale è ripetuta un’iscrizione in tre diverse lingue (latina, greca, araba) e con quattro differenti caratteri (l’arabo anche in carattere ebraico), eseguita per il sepolcro di Anna (morta nel 1149), madre di Grisanto, prelato di corte, che costituisce una significativa testimonianza del sincretismo culturale che caratterizzò la civiltà della Sicilia normanna.
Il palazzo della Zisa (dall’arabo al-Azīz, “il glorioso”, “lo splendido”), fondato dal re Guglielmo I nel 1165 e portato a compimento dal successore Guglielmo II (1190 ca.), costituisce un sorprendente esempio di architettura palaziale ifriqena. Sorgeva fuori le mura dell’antica città di Palermo, costituendo il monumento più importante e rappresentativo del Genoardo (dall’arabo jannat al-ar, “giardino” o “paradiso della terra”) che, ispirandosi ai giardini di ascendenza islamica, caratterizzava il territorio immediatamente fuori della Palermo normanna. L’edificio, a pianta rettangolare con due avancorpi turriti sporgenti sui lati brevi, si sviluppa su tre livelli, marcati all’esterno da sottili cornici e da archi ciechi a rincasso che inquadrano le finestre (oggi rettangolari, originariamente bifore sovrastate da monofore circolari). L’edificio è concluso in alto da una fascia con epigrafe in arabo, oggi frammentaria a causa dei tagli realizzati in epoca moderna per ottenere la merlatura. Al centro del piano terreno si trova l’ambiente di rappresentanza o «sala della fontana», sala a iwan di tipo islamico che costituisce il cuore nevralgico di tutto il palazzo, aperta sul vestibolo attraverso un ampio arco ogivale sorretto da colonne binate, ai lati del quale sono i resti dell’epigrafe in stucco con il nome del palazzo e il riferimento a Guglielmo II. Tutta la sala è decorata con mosaici decorativi e tarsie marmoree in opus sectile che incorniciano le lastre di cipollino sulle pareti e arricchiscono il pavimento. Sul lato occidentale si trova un pannello musivo: si tratta di un raro esempio di mosaico bizantino con temi profani e iconografie islamiche. Al di sotto del mosaico si trova una nicchia rientrante da cui un tempo sgorgava l’acqua della fontana, che scivolando lungo una lastra marmorea a chevron (sadirwan), si riversava in una canaletta aperta sul pavimento, intervallata da due piccole vasche quadrate e marcata da bande in opus sectile. Al lati della sala a iwan, si trovano gli ambienti residenziali e le scale che conducono ai piani superiori. In molti ambienti sono frequenti le nicchie a muqarnas. La sala centrale del secondo piano è stata profondamente modificata nel secolo XVII: in origine presentava un atrio quadrato scoperto con al centro un impluvium, di cui si conservano ancora le tracce. All’interno della Zisa, oggi Museo d’Arte Islamica, sono custoditi ed esposti diversi manufatti, tra cui uno di straordinaria importanza: una lapide marmorea di forma esagonale con una croce centrale in opus sectile intorno alla quale è ripetuta un’iscrizione in tre diverse lingue (latina, greca, araba) e con quattro differenti caratteri (l’arabo anche in carattere ebraico), eseguita per il sepolcro di Anna (morta nel 1149), madre di Grisanto, prelato di corte, che costituisce una significativa testimonianza del sincretismo culturale che caratterizzò la civiltà della Sicilia normanna.
212 ντόπιοι το προτείνουν
Κάστρο της Ζίζα
Piazza Zisa
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Il palazzo della Zisa (dall’arabo al-Azīz, “il glorioso”, “lo splendido”), fondato dal re Guglielmo I nel 1165 e portato a compimento dal successore Guglielmo II (1190 ca.), costituisce un sorprendente esempio di architettura palaziale ifriqena. Sorgeva fuori le mura dell’antica città di Palermo, costituendo il monumento più importante e rappresentativo del Genoardo (dall’arabo jannat al-ar, “giardino” o “paradiso della terra”) che, ispirandosi ai giardini di ascendenza islamica, caratterizzava il territorio immediatamente fuori della Palermo normanna. L’edificio, a pianta rettangolare con due avancorpi turriti sporgenti sui lati brevi, si sviluppa su tre livelli, marcati all’esterno da sottili cornici e da archi ciechi a rincasso che inquadrano le finestre (oggi rettangolari, originariamente bifore sovrastate da monofore circolari). L’edificio è concluso in alto da una fascia con epigrafe in arabo, oggi frammentaria a causa dei tagli realizzati in epoca moderna per ottenere la merlatura. Al centro del piano terreno si trova l’ambiente di rappresentanza o «sala della fontana», sala a iwan di tipo islamico che costituisce il cuore nevralgico di tutto il palazzo, aperta sul vestibolo attraverso un ampio arco ogivale sorretto da colonne binate, ai lati del quale sono i resti dell’epigrafe in stucco con il nome del palazzo e il riferimento a Guglielmo II. Tutta la sala è decorata con mosaici decorativi e tarsie marmoree in opus sectile che incorniciano le lastre di cipollino sulle pareti e arricchiscono il pavimento. Sul lato occidentale si trova un pannello musivo: si tratta di un raro esempio di mosaico bizantino con temi profani e iconografie islamiche. Al di sotto del mosaico si trova una nicchia rientrante da cui un tempo sgorgava l’acqua della fontana, che scivolando lungo una lastra marmorea a chevron (sadirwan), si riversava in una canaletta aperta sul pavimento, intervallata da due piccole vasche quadrate e marcata da bande in opus sectile. Al lati della sala a iwan, si trovano gli ambienti residenziali e le scale che conducono ai piani superiori. In molti ambienti sono frequenti le nicchie a muqarnas. La sala centrale del secondo piano è stata profondamente modificata nel secolo XVII: in origine presentava un atrio quadrato scoperto con al centro un impluvium, di cui si conservano ancora le tracce. All’interno della Zisa, oggi Museo d’Arte Islamica, sono custoditi ed esposti diversi manufatti, tra cui uno di straordinaria importanza: una lapide marmorea di forma esagonale con una croce centrale in opus sectile intorno alla quale è ripetuta un’iscrizione in tre diverse lingue (latina, greca, araba) e con quattro differenti caratteri (l’arabo anche in carattere ebraico), eseguita per il sepolcro di Anna (morta nel 1149), madre di Grisanto, prelato di corte, che costituisce una significativa testimonianza del sincretismo culturale che caratterizzò la civiltà della Sicilia normanna.